In Campania sono presenti numerose specie di tartufi, tra i quali il più diffuso e famoso è il Tuber mesentericum Vitt., detto anche Tartufo nero ordinario o "Tartufo di Bagnoli Irpino”, dal nome del comune irpino ove da secoli si è andata sviluppata una vera e propria cultura intorno a tale risorsa. Il tartufo in Campania trova infatti il suo habitat naturale più favorevole nell'area montana del Termino Cervialto, dei Picentini, fra le province di Avellino e Salerno, ma anche sui monti che circondano il Vallo di Diano, sul Partenio, sul Faito. Più recentemente altre aree di raccolta sono state individuate nell'Alto Casertano e nel Beneventano.
Oltre al tartufo mesenterico, altri tartufi diffusi in Campania sono: il Tuber aestivum, noto anche tartufo estivo o scorzone, il Tuber borchii, detto anche tartufo bianchetto, il Tuber uncinatum, il Tuber moschatum, il Tuber brumale. Nel 2004 è stata segnalata anche la presenza, nell'avellinese e nel beneventano, a seguito di indagini sul territorio da parte di autorevoli strutture universitarie, del Tuber magnatum Pico, il celebre e rinomano tartufo bianco.
L'attività legata alla commercializzazione dei tartufi freschi in Campania è ormai una realtà da un paio di decenni, anche se è difficilmente determinabile perché regolata da un mercato in cui le regole di contrattazione, alquanto atipiche, sono stabilite bilateralmente tra i grossisti del settore e i cavatori che operano sul territorio regionale.
I dati statistici, ritenuti dagli esperti poco veritieri perché sottostimati, riportano una produzione regionale di 1-1.500 quintali di prodotto annuo per un valore di 3-4 milioni di euro. In realtà, tale rilevamento tiene conto solo delle aree tradizionali, mentre oggi il tartufo è segnalato in tanti altri territori, dal beneventano, al casertano fino al basso salernitano.
L'importanza che il comparto va assumendo deriva anche dall'indotto che esso è capace di generare e che vede sviluppare, finalmente, anche i primi tentativi imprenditoriali di commercializzazione e valorizzazione, nelle stesse aree di raccolta, del prodotto fresco e trasformato. E' nota, infatti, ancor oggi, la forte dipendenza dei cercatori campani, circa la collocazione del prodotto, nei confronti degli operatori e dei commercianti di altre regioni (Umbria, Molise e Piemonte soprattutto) i quali, sfruttando i vantaggi della carenza in Campania di strutture associate, lucrano sul valore aggiunto che riescono a conseguire, sottopagando il prodotto appena raccolto in funzione anche della "scadente" reputazione che il Tartufo di Bagnoli (Tuber mesentericum) soffre a livello mercantile. Prodotto che, una volta giunto a destinazione, attraverso forse arcani sortilegi, riacquista una valutazione commerciale di rispetto e viene rivenduto, spesso sotto altra forma e denominazione, come tartufo pregiato.
Viene da chiedersi perciò se la cattiva fama del mesenterico, che guarda caso dagli intenditori viene considerato come il vero tartufo da tavola, quello che riesce realmente a connotare e dare forza alle pietanze con cui viene a contatto, non derivi da speculazioni costruite ad arte, nel tempo, sulla base di luoghi comuni cui anche la ricerca scientifica ha contribuito, suo malgrado, a rafforzare.
Erano così sciocchi i Borbone che preferivano impreziosire i loro cibi con il tartufo di Bagnoli a discapito di ben più noti tartufi di pregio che però non fornivano gli stessi risultati gustativi?
Questa riflessione, che prima di farla presso il pubblico dei consumatori andrebbe fatta tra gli addetti ai lavori, cercatori ed operatori commerciali compresi, troppo spesso interessati più ad un mordi e fuggi, assolutamente precario ma prontamente remunerativo, che a costruire un percorso comune che potrebbe condurre a ben più consolidati successi imprenditoriali.
E' tempo che gli operatori del comparto e le stesse amministrazioni locali si scuotano da un antico e sterile torpore che non genera né sviluppo né attenzione verso un prodotto dalle straordinarie potenzialità. L'esempio ci viene da realtà regionali, come il Molise e la Basilicata, ove fino a pochi anni fa neanche sapevano dell'esistenza sotto i loro piedi del tartufo ed oggi sono diventate tra le prime zone produttrici di tartufo in Italia, tanto che intere comunità rurali ove esso è abbondante hanno concentrato i loro interessi economici verso tale risorsa.
Occorre recuperare, in Campania, ritardi pesantissimi, dal punto di vista della commercializzazione, promozione, valorizzazione e tutela del prodotto. I servizi regionali dell'agricoltura finora hanno sviluppato le loro azioni soprattutto nel campo della tartuficoltura, ritenendo che tale nuova attività potesse incoraggiare gli investimenti nelle aziende ubicate nei territori vocati. In vero tale attività si è rivelata alquanto effimera per la produzione di reddito reale per chi ha realizzato gli impianti, anche se i risultati delle analisi sulle micorrize disposte dalla Regione sulle tartufaie realizzate in questi anni ed effettuate dall'Università di Urbino hanno confermato, in alcuni casi, la potenzialità produttiva di questo metodo di coltivazione del tartufo.
Meglio sarebbe investire risorse ed impegno, però, nel miglioramento e potenziamento produttivo delle tartufaie naturali e sul fronte della promozione e valorizzazione commerciale del prodotto. In particolare, occorre porre in essere una campagna di carattere promozionale, ma ancor più culturale, per affermare, con orgoglio e senza esitazioni, a livello nazionale ed internazionale, il prodotto "Tartufo nero di Bagnoli Irpino” (Tuber mesentericum Vitt.), che la stessa legge regionale sul Tartufo (LR n. 13/06) riconosce come "tartufo tipico campano”.
Ma l'agenda degli impegni non può non comprendere anche una rivisitazione della normativa di settore, nazionale e regionale, come gli operatori della filiera da tempo chiedono. E' auspicabile, in tal senso, una più stretta sinergia tra tutti gli attori, istituzionali e privati, intervenendo con un approccio di sistema e anche di filiera. E' opportuno che per il tartufo, ma anche per tutte le altre produzioni tipiche dell'agroalimentare campano, sia avvertita l'esigenza di una più stretta cooperazione tra istituzioni e tra soggetti dell'imprenditoria non solo agricola. Solo così il nostro Tartufo, "diamante" del paniere dei prodotti tipici campani, potrà essere apprezzato e valorizzato, sia nell'ambito dell'offerta gastronomica regionale che presso la grande distribuzione organizzata.
Le specie di Tartufo presenti in Campania sono innumerevoli. Prevalgono quelle eduli e pregiate, ma esistono altre specie, alcune anche lievemente tossiche, poco note e senza alcun pregio. Le principali sono riportate di seguito. Appartengono tutte al genere Tuber.